"Se le previsioni attuali sulla crescita demografica si
riveleranno accurate e se le modalità dell'attività umana sul pianeta resteranno
invariate, la scienza e la tecnologia potrebbero non essere in grado di
prevenire il degrado irreversibile dell'ambiente o la condizione costante di
povertà per gran parte del mondo... Alcune modificazioni dell'ambiente possono
produrre danni irreversibili alle capacità della Terra di sostenere la vita.
Il ritmo complessivo della modificazione ambientale è stato senza dubbio
accelerato dalla recente espansione della popolazione umana...
E' in
gioco il futuro del nostro pianeta"

U.S. National Academy of Sciences e Royal Society of London, 1992
"Gli esseri umani e la natura si trovano in rotta di
collisione ... La capacità della Terra di provvedere a quantità crescenti di
persone ha un limite ... e ci stiamo velocemente avvicinando a molti dei limiti
della Terra. Le pressioni derivanti dalla
crescita demografica
incontrollata
avanzano delle pretese sul mondo naturale che possono
sopraffare qualsiasi sforzo di raggiungere un futuro sostenibile ... Non
rimangono che pochi decenni prima che vada perduta l'opportunità di allontanare
le minacce che incombono su di noi e che venga compromessa oltre misura la
prospettiva per l'umanità"
Union of Concerned Scientists, 1992, firmata da 1680 esponenti scientifici di 70 paesi, compresi 104 premi Nobel
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martedì 11 marzo 2008

AMBIENTE – DEMOGRAFIA – ENERGIA

Di Guido DALLA CASA

Premesse
Si usa chiamare “ambiente” un complesso di:
- venti milioni di specie di esseri senzienti,
- innumerevoli ecosistemi che si possono considerare pure esseri senzienti,
- sostanze in continuo scambio e movimento,
- relazioni fra tutti gli elementi interni al complesso.
Il termine è fortemente fuorviante, non esiste alcun “ambiente”. Probabilmente il concetto deriva dal fatto di sottintendere “ambiente dell’uomo”, cioè è impregnato dal fortissimo antropocentrismo proprio della cultura occidentale. In sostanza si usa chiamare “ambiente” un Organismo Totale vivente-senziente, come se fosse un “contorno” di alcune sue cellule (la nostra specie). Cercheremo di cambiare un po’ le parole, anche senza sacrificare la chiarezza espositiva. Invece che parlare di ambiente, parleremo di Ecosistema, cioè la Totalità terrestre ci cui la nostra specie fa parte.

L’Ecosistema
Recycle
© Photographer: Rcmathiraj Agency: Dreamstime.com

L’Ecosistema è il Complesso di cui facciamo parte, come un tipo di cellule fa parte di un organismo. La buona salute dell’Ecosistema è il primo valore che dovrebbe guidare le nostre azioni, e non solo perché da essa dipendono la nostra sopravvivenza e la nostra salute psicofisica, assieme a quella di tutti gli altri esseri senzienti.
Useremo come sinonimo anche la Terra, intendendo con tale termine la pellicola di circa trenta chilometri di spessore che avvolge il Pianeta (Biosfera, idrosfera, atmosfera, litosfera).
Se consideriamo tempi non-astronomici o non-geologici, la Terra funziona come un essere vivente, cioè riesce a mantenersi in situazione stazionaria, essendo dotata di capacità omeostatica: è in grado di autocorreggere le variazioni non troppo drastiche mantenendo i valori al suo interno (o nei suoi sottosistemi) entro campi di variabilità piuttosto ristretti, tali da tenere in buona salute il Complesso dei Viventi. Riceve energia dal Sole e la restituisce allo spazio cosmico a temperatura più bassa, in modo conforme al secondo principio della termodinamica. Questo fluire di energia di origine solare la mantiene in vita.
La questione, di tipo metafisico, se la Terra sia vivente, o senziente, o fino a che punto sia cosciente, è molto interessante, ma non rilevante agli effetti del comportamento necessario a mantenere in buona salute l’Ecosistema, cioè a conservarne la situazione stazionaria.
Tutti i processi all’interno del Sistema avvengono per cicli, dove ogni ciclo è tale da ripristinare la situazione stazionaria: cioè non ci sono processi che prelevano qualcosa di fisso e restituiscono qualcos’altro che si accumula: in altre parole non esistono “risorse” e “rifiuti”.
L’Ecosistema si può suddividere, per comodità di studio, in sottosistemi, che spesso si indicano come tanti ecosistemi (parziali): occorre però ricordare che queste suddivisioni non sono reali ma servono soltanto per rendere gestibile lo studio.
Se vogliamo fare un accenno anche a questioni etiche, è evidente che tutti gli esseri senzienti, e fra questi sono compresi anche gli ecosistemi, le specie, le culture umane e non-umane, hanno diritto a forme di autorealizzazione, e quindi ad una vita libera e naturale.

Demografia
Crowded Planet
© Photographer: Magiclight Agency: Dreamstime.com

Le specie animali e vegetali che fanno parte degli ecosistemi mantengono il numero dei propri componenti entro termini numerici abbastanza ristretti, almeno su tempi non troppo lunghi e mediando le piccole oscillazioni. L’umanità è una specie animale, abbastanza facilmente classificabile, che ovviamente non può sfuggire a questa regola, altrimenti si avrebbero danni irreparabili per tutto l’Ecosistema.
Un particolare modello culturale umano ha iniziato, da circa due secoli, a funzionare non più su cicli, come il resto della Natura, ma prelevando qualcosa di fisso (le risorse) e scaricando pure qualcosa di fisso (i rifiuti): procede cioè in modo incompatibile con il funzionamento generale della Terra. Inoltre pretende di continuare a far crescere a tempo indefinito il numero degli individui e la quantità di materia-energia che fluisce attraverso i suoi processi. Tale modello ha invaso tutto il Pianeta distruggendo le altre culture umane, la maggior parte delle quali funzionava in modo conforme all’ecosistema di cui faceva parte.

Il numero massimo di umani che la Terra può sostenere dipende dal tipo di alimentazione medio e dalla quantità di consumi.
Gli studi relativi al numero di umani che la Terra può supportare, in funzione delle grandezze sopraddette, sono molto scarsi, cosa assai sorprendente, data l’importanza del problema. Comunque:
- uno studio dell’Università Cornell, di circa trent’anni fa, poneva un limite superiore di circa due miliardi di individui;
- dei dodici scenari studiati nel famoso rapporto del Club di Roma I limiti dello sviluppo, gli unici due che portavano ad una situazione vitale senza l’impazzimento dei diagrammi e quindi senza un collasso del sistema richiedevano come condizione necessaria e non sufficiente la stabilizzazione della popolazione mondiale entro il 1975, il che significa un limite massimo di popolazione di tre-quattro miliardi di umani, con un livello di consumi inferiore a quello medio attuale;
- nel libro Assalto al pianeta di Pignatti-Trezza (Bollati Boringhieri, 2000) è indicato un valore massimo di circa un miliardo e mezzo di umani;
- la popolazione umana quando è cominciato l’impiego dei combustibili fossili, cioè al momento in cui si è iniziata la rottura della condizione stazionaria del Pianeta, almeno sul piano energetico, era di circa un miliardo di persone.

Si noti che nelle considerazioni sopra esposte non si è parlato dei diritti alla vita di tutti gli altri esseri senzienti: questi ragionamenti valgono anche se si parte da un punto di vista antropocentrico.
Per quanto riguarda l’alimentazione, uno sguardo anche sommario a qualche ecosistema naturale fa rilevare che il rapporto numerico fra i predatori e gli erbivori è di uno a mille, o uno a diecimila, o giù di lì. Più carne si mangia, più basso deve essere il numero. Tra l’altro siamo quasi-uguali a gorilla, oranghi, scimpanzé e bonobo, che mangiano frutta, verdura, tuberi e qualche insetto. Solo gli scimpanzé ogni tanto, ma molto raramente, mangiano carne di babbuino.
Calare di numero, abbassare i consumi, funzionare su cicli chiusi che si alimentano a vicenda, essere quasi-vegetariani sono quindi opzioni indispensabili per consentire la vita della Terra, e quindi anche la nostra.

A questo punto sorge spontanea una domanda: come facciamo a vivere oggi su questa Terra in quasi-sette miliardi? La risposta è immediata: in questo periodo non siamo affatto in situazione stazionaria, siamo in un transitorio in cui l’umanità vive “divorando” la Terra, cioè a spese dell’Organismo di cui fa parte. Questo transitorio non può durare a lungo.

Energia
Energy
© Photographer: Shoresnapper Agency: Dreamstime.com

Da quanto detto sembra evidente che l’unica energia che possiamo lecitamente utilizzare è quella di origine solare diretta. Se consideriamo i gravi danni di natura estetica-spirituale delle energie eolica, idroelettrica e fotovoltaica, pure di origine solare, risulta evidente che l’unica energia che si può utilizzare è quella solare-termica, senza esagerare per non introdurre disturbi eccessivi negli ecosistemi locali.
Il fatto è che Il problema energetico viene normalmente impostato come la ricerca del modo meno dannoso per produrre l’energia necessaria a coprire il fabbisogno mondiale dei prossimi anni, assumendo detto fabbisogno come una variabile indipendente, una necessità da soddisfare ad ogni costo. Ciò equivale a dire che il modo di vivere di tutto il mondo sarà quello della civiltà industriale sempre-crescente, considerata a priori come desiderabile.
Bastano poche considerazioni quantitative per accorgersi che, se impostato in questo modo, il problema diventa comunque insolubile nel giro di pochi decenni: anche se fosse risolvibile, la produzione di simili quantità di energia porterebbe tali catastrofiche conseguenze sul Pianeta da causare comunque l’arresto del processo.
Ma dove va a finire tutta questa energia? Ad alimentare altri consumi, costruzione di impianti, scomparsa di risorse e accumulo di rifiuti. Strade, macchine, città, al posto di paludi, foreste e praterie. Se saltasse fuori la famosa fusione nucleare, cosa potrebbe più arrestare questo processo? Di energia ce n’è anche troppa.
La causa del problema è la crescita di tutti i consumi, non solo quelli energetici. Senza toccare questo tabù, la questione è insolubile: si può solo guadagnare tempo, che è comunque un risultato di grande utilità, perché può consentire di arrivare ai tempi lunghi necessari per il cambiamento dei fondamenti culturali.
Solo come esempio, facciamo un piccolo esercizio: supponiamo che la produzione industriale e i consumi di energia aumentino con legge esponenziale con un tempo di raddoppio di venti anni.
Facciamo poi l’ipotesi di ottenere un risultato eccezionale, cioè di diminuire il consumo di energia per unità di prodotto del 50%: ciò significa consumare metà dell’energia per ottenere la stessa produzione industriale. In tal caso per venti anni il consumo energetico resta lo stesso, e poi riprende a salire con un nuovo rapporto rispetto al prodotto industriale, ma con lo stesso andamento di prima. Abbiamo soltanto guadagnato venti anni per ritrovarci con gli stessi problemi. La vera causa dei guai è il tabù della crescita. Si noti che non abbiamo preso in considerazione il fatto che anche tutte le industrie che fabbricano i componenti relativi al mercato dell’energia hanno fatto i loro bravi piani di espansione e forse si troverebbero in difficoltà in quei vent’anni, in cui dovrebbero chiudere.
I vari protocolli dei convegni internazionali, pur animati dalle migliori intenzioni, non potranno mai essere rispettati. Se diminuiscono le emissioni di anidride carbonica, crescerà qualche altro inquinamento o qualche altro guaio se non vogliamo fermare la crescita! Siccome nessun governo parlerà mai in tal senso, quegli impegni non potranno essere rispettati anche se vengono presi in buona fede. E’ infatti evidente che un governo che non inneggia allo ”sviluppo economico” non resta in carica neanche un’ora.
Il problema energetico non consiste nella ricerca delle fonti più opportune per soddisfare i fabbisogni imposti dal modello ma è uno dei segni dell’impossibilità di persistenza nel tempo del modello industriale sempre-crescente.

Crescita e sviluppo
Oil refinery
© Photographer: Tashka | Agency: Dreamstime.com

Vediamo che significato si dà di solito al termine sviluppo, soprattutto nel linguaggio corrente e nei mezzi di comunicazione di massa.
Il concetto espresso con questa parola è di norma l’aumento del fluire dei beni materiali attraverso il processo produrre-vendere-consumare. E’ evidente che, con questo significato, lo sviluppo richiede l’aumento dei consumi. In altre parole, il termine sviluppo significa oggi la crescita economica, come dimostra anche la traduzione inglese più frequente (growth). Gli abituali indicatori dello sviluppo sono sostanzialmente quantitativi.
Le discussioni sulla differenza fra crescita e sviluppo hanno senz’altro un significato profondo, ma di fatto i due termini sono impiegati come sinonimi da tutto il mondo economico, industriale, politico e sindacale.
La crescita economica è una terribile patologia dell’Ecosistema, una gravissima malattia della Terra.

Ma cosa può succedere? Proviamo a formulare qualche ipotesi:

- Lo sviluppo economico prosegue ad oltranza: in tal caso si arriva ad un mondo terribilmente degradato, con gli ecosistemi naturali scomparsi, migliaia di specie estinte o degenerate, le foreste distrutte, l’atmosfera irrespirabile, fino a manifestazioni macroscopiche di impossibilità di vita;

- Lo sviluppo economico prosegue fino a un punto “di collasso”, dopo il quale si ha la rinascita di culture umane con valori diversi da quelli attuali;

- Lo sviluppo economico si arresta gradualmente per la progressiva quasi-scomparsa della filosofia che ne costituisce il fondamento (il materialismo).

L’ipotesi più pessimista sembra la prima, quella più probabile la seconda; resta la speranza che si verifichi la terza.

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